ATTO PRIMO
Dopo l’introduzione orchestrale (‘L’alba sulla Moscova’), la scena si apre a Mosca sulla piazza del Cremlino. Presso una colonna è disteso lo strelez Kuzka che, mezzo appisolato, canticchia un motivo militaresco, raggiunto di lì a poco da un gruppo di compagni che si vantano delle violenze compiute la sera precedente. Nel frattempo lo scriba, musicalmente connotato da un motivo agitato e ironico, si sistema nel suo casotto, mentre gli strelzi si burlano di lui. Comincia la scena ricca di piani espressivi in cui il boiaro Švaklovitij detta al preoccupatissimo scriba una denuncia anonima, nella quale si dichiara che il principe Ivan Chovànskij fomenta gli strelzi perché impongano sul trono il figlio Andrej, con l’aiuto dei Vecchi Credenti. Il realismo musicale di Musorgskij riesce a dipingere il tono tronfio e supponente di Švaklovitij, in contrasto con la tremante insipidezza dello scriba, cui si aggiunge il canto dei popolani sullo sfondo (con il tema del pezzo pianistico giovanile di Musorgskij, Ricordo d’infanzia ) che si intreccia al ritmo teso e minaccioso della sfilata degli strelzi dietro la scena, nei confronti dei quali si levano gli acidi ma pavidi commenti dello scriba. Dopo l’uscita di Švaklovitij, e dopo che si è udita l’eco della canzone popolare, irrompono i moscoviti sulla piazza, che cercano di far confessare allo scriba ciò che ha appena scritto, e intonano un intenso coro a cappella lamentandosi della propria miseria. Al popolo si uniscono gli strelzi, mentre la folla aumenta e il coro si dilata, fino all’arrivo del principe Ivan Chovànskij, contrassegnato da un tema marziale e incisivo, che trasmette tracotanza e ironica ossessività nella continua interiezione «Ci salvi Iddio». Tuonando contro i disordini scatenati dai boiari, si dichiara difensore dei principi Pietro e Ivan e viene osannato dalla folla nel nome del ‘cigno bianco’, il simbolo dei Chovànskij, in un coro che, dopo essersi mirabilmente intensificato, si spegne in lontananza. Irrompe sulla scena Emma, una ragazza luterana del quartiere tedesco, insidiata dal figlio di Ivan Chovànskij, Andrej, che ha fatto esiliare il suo fidanzato. La voce ansimante di Emma si intreccia alle melliflue implorazioni di Andrej. Sopraggiunge, in suo aiuto, Marfa, una Vecchia Credente ex amante di Andrej, del quale è ancora follemente innamorata nonostante sia stata da lui crudelmente abbandonata. Marfa avvia un Adagio cantabile nel quale si distende una melodia intensa e ben caratterizzata. Andrej la disprezza e cerca perfino di ucciderla, ma ella, sfuggendogli e liberando Emma, gli predice che le loro anime defunte saliranno in un cielo radioso. Il terzetto, simmetricamente organizzato, poggia sull’intenso tema di Marfa. La sua profezia è interrotta dall’arrivo di Ivan Chovànskij, che, osannato dal popolo, la saluta rispettosamente e guarda con cupidigia Emma, ordinando ai soldati di catturarla. Mentre Andrej cerca di opporsi, dichiarando che preferirebbe ucciderla piuttosto che perderla, arriva il capo dei Vecchi Credenti, Dosifej, che affida Emma a Marfa rimproverando i Chovànskij per la loro violenza. L’atto si conclude sul coro mistico dei raskolniki, dalle arcaiche e suggestive inflessioni modali.
ATTO SECONDO
(Musorgskij definì quest’atto, in una lettera a Stasov del 16 agosto 1876, la «chiave di volta del dramma intero».) In casa del principe Golitzyn. È il crepuscolo, e il principe sta leggendo una lettera della zarina Sofia, della quale era stato amante. Dopo il dolce Andante cantabile iniziale, la melodia di Golitzyn disegna il percorso psicologico delle sue reazioni mentre ripercorre il passato con tenerezza e rimpianto, ma teme, per il presente, che Sofia voglia ingannarlo facendo leva sui suoi sentimenti. Varsonovev interrompe il soliloquio annunciando a Golitzyn l’arrivo di un pastore luterano, che prende le difese di Emma. A questo punto viene introdotta Marfa, che Golitzyn ha fatto chiamare perché, nonostante l’atteggiamento europeo e progressista, è superstizioso e vuole sapere da lei quale sarà il suo destino. La Vecchia Credente, leggendo in un bacile d’acqua, sentenzia: «Conoscerai miseria, squallore e immenso dolore. Nel pianto scoprirai la verità di questa terra». La profezia di Marfa segue uno straordinario e teatralissimo crescendo di tensione emotiva, passando da una sorta di recitativo alla più lirica e morbida espansione lirica. Golitzyn, furioso, la scaccia e ordina che venga annegata. Comincia qui il duetto tra Golitzyn e il sopraggiunto Ivan Chovànskij, nel quale assume forma musicale il profondo contrasto tra due punti di vista inconciliabili. Il diplomatico ipocrita e contraddittorio si scontra con il prepotente Chovànskij, fino all’intervento pacificatore di Dosifej. Sullo sfondo del terzetto risuona, come una cornice visionaria e arcaica, il coro dei raskolniki. I colpi di scena continuano: sopraggiunge Marfa, che accusa Golitzyn di avere cercato di ucciderla, cosa che gli sarebbe riuscita se non fossero intervenuti i petrovski, i componenti della guardia personale di Pietro. I tre esclamano insieme, esterrefatti, «Petrovskij!» Ma ecco che Varsonovev introduce Švaklovitij, che comunica ai principi la notizia della denuncia sporta contro i Chovànskij. Quando Dosifej chiede quale sia stata la reazione di Pietro, Švaklovitij riporta il commento sprezzante dello zar: ha detto «chovanšcina», cioè una bravata dei Chovànskij e ha ordinato di indagare.
ATTO TERZO
Nel quartiere degli strelzi, presso Belgorod, sulla Moscova. Passano gli scismatici, che intonano lo stesso inno già ascoltato nell’atto precedente. Marfa, seduta davanti alla soglia di Andrej, canta una struggente canzone d’amore, costruita sulla ripetizione strofica di un tema popolare ( L’abbandonata , compresa nella raccolta del Villerbois). Sopraggiunge Susanna, una Vecchia Credente fanatica e moralista che accusa Marfa di lascivia. Dosifej interviene scacciandola. Dopo un Lento lamentoso di Švaklovitij, strutturato in forma di aria operistica vera e propria, il coro degli strelzi si scatena con violenza ritmica, scandito dagli interventi più lenti e cantilenanti di un volgare motivo popolare. Irrompono anche le mogli, che li rimproverano di tradimenti e di brutalità, accompagnando le ingiurie con spintoni e pugni. Kuzka e i compagni intonano una spensierata canzone burlandosi delle mogli, ma giunge improvvisamente lo scriba, che narra, in una ballata ansimante, della sconfitta subita dagli strelzi a opera delle truppe di Pietro. Gli strelzi invocano l’aiuto di Ivan Chovànskij, che però li tiene calmi e dice loro di pazientare. Gli strelzi e le loro mogli cantano una preghiera, che si stempera in un pianissimo a concludere l’atto.
ATTO QUARTO
Nella residenza del principe Ivan Chovànskij. Il principe sta cenando e ascolta le contadine intonare un malinconico canto, il cui tema viene nostalgicamente avviato dall’orchestra e ripreso dalle voci femminili. Ivan ordina loro di cantare un motivo più allegro, cosa che si apprestano a fare, subito interrotte dall’arrivo di Varsonovev, mandato da Golitzyn ad avvertire il principe che la sua vita è in pericolo. Chovànskij lo scaccia con supponenza e ordina alle schiave persiane di danzare per lui. Si tratta del famoso Intermezzo sinfonico orchestrato da Rimskij-Korsakov, vivente Musorgskij (Lamm, nella sua edizione, specifica tuttavia che la versione autografa per pianoforte è probabilmente successiva). A questo punto, Švaklovitij annuncia a Ivan Chovànskij che la zarina Sofia lo attende per un consiglio di stato. Inorgoglito dall’invito, si prepara a partire, ma sul motivo di gloria, cantato all’unisono dalle contadine “E verso il cigno avanza, Ladù” accompagnato da impressionanti accordi e tremoli dell’orchestra, un sicario lo pugnala. Švaklovitij riprende il canto delle contadine (un canto popolare nuziale che si trova nella raccolta folkloristica di Rimskij-Korsakov), con beffarda ironia. Il secondo quadro dell’atto è ambientato sulla piazza davanti alla chiesa di San Basilio. Nel corso di un interludio orchestrale, intercalato da brevi esclamazioni del popolo, sfilano Golitzyn e i suoi seguaci, condannati all’esilio; risuona il tema già ascoltato durante la profezia di Marfa del secondo atto. L’episodio si intensifica per poi sfumare, fino all’avanzare di Dosifej, che commenta i fatti tragici che insanguinano la Russia. Marfa gli comunica che il gran Consiglio ha sancito di uccidere i Vecchi Credenti; Dosifej ribatte che essi si immoleranno sul rogo piuttosto che cadere in mano dei nemici, e chiede a Marfa di preparare anche Andrej Chovànskij all’estremo sacrificio. La Vecchia Credente canta l’arrivo del destino finale, nella gloria di Dio. Arriva Andrej, agitatissimo, in cerca di Emma, ma Marfa gli comunica che la ragazza si è sposata felicemente. Andrej inveisce contro la donna e, ancora ignaro dell’assassinio del padre, chiama gli strelzi perché la uccidano, ma non ottiene risposta ai ripetuti richiami del suo corno. Giungono di lì a poco, in macabra sfilata, sul motivo del primo atto scandito dalla campana, gli strelzi, con i ceppi al collo, seguiti dalle mogli che li sberleffano con un vocalizzo all’unisono di impressionante efficacia teatrale; risuona un’allegra fanfara che crea un effetto di agghiacciante straniamento. Andrej implora Marfa di salvarlo; arrivano i petrovski che comunicano, su un ritmo spensierato e trionfale di marcia, al suono delle trombe, la decisione degli zar Ivan e Pietro di concedere la grazia agli strelzi.
ATTO QUINTO
Nell’eremo dove i Vecchi Credenti si preparano al gesto finale. L’atmosfera è segnata da una icastica melodia in re minore («Il preludio alla scena dell’eremo», dice Musorgskij in una lettera del 2 agosto ’73, «è fatto dallo stormire del bosco, che ora si rafforza e ora diminuisce, come un gioco di onde»). Si leva la voce di Dosifej che prega; i Vecchi Credenti intonano un coro (in modo frigio; in origine, come racconta Rimskij-Korsakov nella sua autobiografia, il brano era ancora più rude e arcaico nelle sue successioni di quarte e quinte ‘vuote’). Marfa invoca la pietà di Dio per l’anima di Andrej, che canta, desolato, il suo amore per Emma. Marfa, rievocando una melodia dell’atto precedente, intona un suggestivo ‘requiem d’amore’ («Giunta è l’ora della tua morte, amato mio: abbracciami per l’ultima volta; ti amerò sino alla tomba; con te morire è come dolcemente dormire. Alleluja!») e attira Andrej verso il rogo, insieme ai Vecchi Credenti, che si immolano.