Synopsis: Don Carlos / Don Carlo

from Giuseppe Verdi


ATTO PRIMO
1568, anno del trattato di pace fra Spagna e Francia. Nella foresta di Fontainebleau alcuni boscaioli tagliano legna; giunge Elisabetta di Valois (figlia del re francese Enrico II) in compagnia del paggioTebaldo e di un seguito di cacciatori. Nel frattempo Don Carlo, figlio del re di Spagna Filippo II, osserva nascosto il passaggio della principessa, che egli crede a lui destinata in sposa come sigillo della pace fra le due nazioni. Rimasto solo in scena, l’infante esprime il suo amore a prima vista per «la bella fidanzata», e invoca la benedizione di Dio sui suoi casti sentimenti (“Io la vidi e al suo sorriso”). S’ode in distanza il suono del corno e quindi Carlo incontra Elisabetta eTebaldo, che si sono smarriti nella foresta; Carlo si presenta come un nobile spagnolo al seguito dell’ambasciatore e offre alla principessa la sua protezione. Rimasti soli, i due giovani conversano dell’imminente pace e del matrimonio: Elisabetta chiede come sia il suo ancora sconosciuto promesso sposo e Carlo l’assicura che l’infante già arde d’amore per lei. Quindi le porge un ritratto e Elisabetta comprende d’essere al cospetto del suo fidanzato, che le dichiara il suo amore (duetto “Di qual amor, di quant’ardor”). S’ode il suono del cannone che annuncia la firma del trattato di pace, e poco dopo rientra Tebaldo, che s’inginocchia davanti a Elisabetta salutandola regina di Spagna: Filippo II ha infatti deciso di sposare la giovane principessa. Nel generale tripudio, i due innamorati vedono infranti i loro sogni e si separano straziati dal destino crudele che li ha visti pedine inconsapevoli nel gioco dei potenti (“L’ora fatale è suonata”).

ATTO SECONDO

Quadro primo
Nel chiostro del convento di San Giusto, laddove Carlo V ha la sua tomba, un coro difrati celebra la pochezza umana e la fragilità dei potenti in confronto all’eterna grandezza di Dio; sopraggiunge Don Carlo, che cerca nel chiostro quiete alle sue pene. Gli si avanza incontro l’amico Rodrigo, marchese di Posa, e cerca d’impegnare l’infante nella difesa dell’oppresso popolo fiammingo; chiede tuttavia ragione del turbamento del principe e apprende con orrore che egli ama colei che è diventata la sua matrigna. Lo sprona allora a farsi inviare dal re nelle Fiandre, e a coltivare il supremo valore dell’amicizia e della libertà (duetto “Dio che nell’alma infondere”). L’improvviso passaggio del re e della regina getta tuttavia Carlo nello sconforto.

Quadro secondo
In un giardino non lontano dal convento di San Giusto, le dame e Tebaldo fanno ala alla principessa Eboli, che canta una canzone saracena, la ‘canzone del velo’. Entra Elisabetta, e a lei si presenta Rodrigo con una lettera di Carlo. Mentre la regina legge turbata, Rodrigo cerca di distrarre Eboli e le altre dame con le ultime notizie dalla corte di Francia, e quindi implora Elisabetta di incontrare l’infante (“Carlo, ch’è sol il nostro amore”). Carlo giunge al cospetto d’Elisabetta nella massima agitazione: ella gli assicura il suo appoggio per il viaggio in Fiandra, ma Carlo le rinnova le sue disperate profferte d’amore e quindi fugge. All’improvviso entra Filippo che, trovando la regina sola, caccia dalla corte la dama di compagnia, la contessa d’Aremberg. Elisabetta consola l’amica (“Non pianger mia compagna”) e si congeda dal consorte. Filippo rimane a colloquio con Rodrigo, che chiede al re libertà per il popolo fiammingo, accusandolo d’imporre ai suoi stati «la pace dei sepolcri». Filippo fingerà di non aver ascoltato la provocazione, ma mette in guardia Rodrigo dal grande Inquisitore e cerca d’avere il marchese alleato al suo fianco, confidandogli il suo atroce sospetto nei confronti di Carlo e della regina.

ATTO TERZO

Quadro primo
Nei giardini della regina, di notte. Carlo crede d’esser stato convocato a un appuntamento da Elisabetta: la missiva anonima è invece di Eboli, innamorata del principe, che giunge e che, per qualche istante, Carlo crede la regina: quando la luce lunare rivela la vera identità della convenuta, Eboli comprende quale amore proibito l’infante porti in cuore, e lo minaccia. Arriva Rodrigo, che sta quasi per uccidere la furibonda Eboli (terzetto “Trema per te falso figliuolo”). Rimasto solo con Don Carlo, l’invita a confidare nel suo aiuto e nella sua fedeltà.

Quadro secondo
Nella grande piazza davanti alla cattedrale di Valladolid il popolo si prepara ad assistere alla cerimonia dell’autodafé. Quando il re sta per dare inizio al rito, sopraggiunge Carlo alla testa di sei deputati fiamminghi per chiedere al padre d’esser nominato viceré di Fiandra e Brabante. Al rifiuto di Filippo, Carlo snuda la spada e giura di salvare dalla tirannia il popolo fiammingo. Filippo ordina che si disarmi l’infante, ma nessuno osa avvicinarsi. Solo Rodrigo osa togliere la spada a Carlo, che si sente tradito dall’amico; il rito riprende con gli eretici condotti al rogo dai frati dell’Inquisizione.

ATTO QUARTO

Quadro primo
Filippo insonne è solo nel suo studio: medita sulla sua solitudine, sul suo amore non corrisposto per la regina, e invoca l’ora della morte (“Ella giammai m’amò”). Fa quindi il suo ingresso il grande Inquisitore, terribile cieco ottuagenario. Il re l’ha convocato per aver consiglio su come punire l’infante, e l’Inquisitore pretende dal monarca la testa di Carlo e anche quella di Posa, lasciando così il trono per l’ennesima volta succube dell’altare. È poi la regina a entrare nella stanza di Filippo, invocando giustizia: il suo scrigno personale è stato rubato. Il portagioie è però in mano dello stesso Filippo, che aprendolo vede il ritratto di Carlo e accusa la moglie d’adulterio. Elisabetta sviene e Eboli viene chiamata a soccorrerla. Filippo esce allora accompagnato da Rodrigo e la principessa, rimasta sola con la regina, le chiede perdono per averla tradita e aver consegnato al re lo scrigno. Le confessa d’averlo fatto per amore di Carlo, ed Elisabetta la costringe all’esilio. Disperata, Eboli maledice la propria vanità muliebre (“O Don fatale”).

Quadro secondo
Incarcerato, Carlo riceve la visita di Rodrigo che gli porta la speranza di libertà e il suo addio. Sa infatti d’essere preda del grande Inquisitore (“Per me giunto è il dì supremo”). All’improvviso, infatti, un colpo d’archibugio uccide Rodrigo, che prima di morire raccomanda all’amico di recarsi l’indomani a San Giusto per un ultimo colloquio con la madre. S’ode il fragore d’una sommossa, e Filippo giunge in carcere a restituire al figlio la libertà. Carlo maledice il padre e l’accusa della morte di Rodrigo, sul cui cadavere il re lamenta invece la perdita d’un amico. Frattanto il popolo preme alle porte della prigione per la libertà di Don Carlo, e Filippo ordina che si lascino entrare i rivoltosi: questi si fermano tuttavia di fronte all’apparizione terrificante del grande Inquisitore, che intima a tutti di prostrarsi davanti all’autorità regia.

ATTO QUINTO
La scena del secondo atto, nel chiostro del convento di San Giusto. Eisabetta prega sulla tomba di Carlo V (“Tu che le vanità conoscesti del mondo”) e, nell’attendere l’arrivo di Don Carlo colà convocato, ricorda il dolce incontro con l’infante nella foresta di Fontainebleau e piange la perduta felicità, aspirando solo alla «pace dell’avel». Giunge quindi Carlo, e la regina gli comunica d’averlo voluto incontrare solo per dirgli addio e benedirlo prima della fuga in Fiandra. Con grande strazio i due si congedano, ma proprio in quel punto sono sorpresi da Filippo e dal grande Inquisitore. Il re consegna Carlo ai frati del Sant’Uffizio: mentre l’infante indietreggia verso la tomba, s’apre il cancello di questa e il frate, in abito di Carlo V, trascina con sé nelle profondità della cripta.

Don Carlo, questa conclusione repentina, raggiunta da Verdi soltanto nella versione in quattro atti del 1884, era preceduta nella versione originale francese da una sorta di processo sommario a Carlo, giudizio poi interrotto dall’apparizione del frate come fantasma del defunto imperatore. Ricordiamo inoltre che nell’edizione in quattro atti viene soppresso per intero «l’atto di Fontainebleau».