Synopsis: Einstein on the Beach

from Philip Glass


e testi e immagini sono percorsi da riferimenti – tra loro irrelati – alla cronaca americana di quegli anni (come ad esempio al processo a Patricia Hearts), alla canzone Mr. Bojangles , ai Beatles, ecc., la ‘storia’ è di fatto sostituita da una progressione di eventi, di immagini o metafore visuali che si sviluppano in maniera analoga a una partitura musicale (o, come ha sostenuto Wilson, alla costruzione di un edificio) dove il linguaggio non è un contenuto bensì uno strumento espressivo elaborato sulla base di una struttura caratterizzata da una evidente simmetria e che risponde a semplici associazioni figurative. Quel che avviene in scena non è legato a un discorso di tipo letterario, ma a un insieme di pure relazioni spazio-temporali, attraverso le quali è la struttura stessa, attraverso un meccanismo linguistico autoreferenziale, a diventare soggetto. Punto di partenza non sono né il libretto né la partitura (elaborata a posteriori rispetto alla definizione dello schema drammaturgico), ma una sequenza di spazi scenici costruiti attorno al personaggio, privi di una connessione, se non in via eventualmente metaforica, con la sua reale biografia (così com’era avvenuto nei precedenti ‘ritratti’ teatrali da Wilson dedicati a Freud, a Stalin e alla regina Vittoria). Questi spazi scenici sono definiti nel tempo da una suddivisione ritmica la cui durata corrisponde alla durata globale dello spettacolo: le quasi cinque ore dell’ Einstein sono da Glass e Wilson metricamente scandite in base all’alternarsi e all’accoppiarsi dei numeri 1-2-3. Così i primi tre atti comprendono ciascuno due scene e ripetono due volte tre elementi costituiti da tre differenti tipi di ambiente-immagine, con alternanze e combinazioni di interni ed esterni: il Treno (1), il Processo (2) e il Campo-Astronave (3) nell’ordine 1-2 (atto primo), 3-1 (atto secondo), 2-3 (atto terzo), che in successione formano la semplice serie 1-2-3/1-2-3. Nelle tre scene dell’ultimo atto ricompaiono gli stessi tre elementi-ambienti, ma semplificati, resi più astratti. I Knee Plays scandiscono inesorabilmente la successione degli atti, assolvendo a una funzione connettiva, che conferisce coesione al tutto. Questo, in breve, lo schema dell’opera: Knee Play 1 , atto primo (1. Treno I, 2. Processo I); Knee Play 2 ; atto secondo (3. Campo-astronave I,1. Treno II); Knee Play 3 , atto terzo (2. Processo II, 3. Campo-astronave II); Knee Play 4 ; atto quarto (1. Edificio del treno, 2. Letto del processo, 3. Astronave – interno della precedente astronave); Knee Play 5 . Wilson ha strutturato l’ Einstein anche come una sequenza ripetitiva di tre differenti tipi di angolazione o piani pittorici: i Knee Plays sono eseguiti di fronte al sipario (mentre viene effettuato il cambio delle scene), in uno spazio quindi prossimo al pubblico che può essere concepito nei termini di ‘ritratto’ (oggetti e persone in primo piano), i ‘set’ per le scene in cui compare l’immagine del treno, di un edificio, di un’aula di tribunale e di una cella di prigione sono collocati a una profondità di campo intermedia, analoga a una ‘natura morta’, mentre le scene che forniscono il massimo di spazio disponibile sul palcoscenico per i danzatori – il campo aperto e l’immenso interno dell’astronave dell’apoteosi finale – hanno la profondità di un ‘paesaggio’. Ai tre settori spazialmente distinti corrispondono, ancora, tre gradi di intensità espressiva nel gesto, nel linguaggio e nella musica: da un’intensità minima detta di ‘pelle’ (lentezza, pacatezza) si passa a un’intensità media di ‘carne’ e a un’esasperazione espressiva detta ‘ossa’. È in funzione di queste coordinate spazio-temporali che vengono sviluppate le successive fasi di composizione: musica, testo, danza e regia. Ma in queste fasi si assiste a una sorta di capovolgimento, di inversione di approccio o di metodo: tanto è rigorosa e inesorabilmente rigida la struttura, altrettanto spontanei e aleatori sono i contenuti (che vanno a riempire, quasi in funzione di variabili, la griglia ottenuta), elaborati collettivamente durante il lungo periodo di gestazione dello spettacolo e spesso, come nel caso dei testi o dei ‘gesti’ che caratterizzano ciascun personaggio, interamente affidati all’inventiva degli stessi attori. Il tentativo di Wilson, la sua ‘premessa fondamentale’ – come ha scritto Vicky Alliata nel libretto di sala della prima rappresentazione – è quella di «ricomporre sul palcoscenico tutto ciò che la vita sistematicamente frantuma... nell’inesorabile costruzione di una saga dei tempi moderni in cui non esistono gli eroi ma nemmeno i vinti».