Synopsis: Jeanne d'Arc au bûcher

from Arthur Honegger


Il prologo venne aggiunto solo nel 1950, ed è basato su un implicito parallelo tra la Francia del Quattrocento e quella ugualmente divisa e oppressa durante il secondo conflitto mondiale: il narratore, intercalando i suoi interventi ai lamenti cupi e sommessi del coro, presenta la figura di Giovanna, aureolandola di profetiche citazioni bibliche. Nella prima scena misteriose voci celesti, cui si alterna lugubre il latrato di un cane, richiamano la santa; ella intanto è già incatenata ai piedi del rogo. A confortarla è frate Dominique, che leggerà per lei il libro su cui gli angeli hanno trascritto la storia della sua vita: una storia intessuta di misticismo e di innocenza, e pertanto incomprensibile alla ottusità umana. Si levano insulti e voci aspre di condanna (‘Le voci della terra’, scena terza); candida e sgomenta, Giovanna si chiede se veramente abbia potuto macchiarsi delle colpe di cui è accusata, e se davvero il suo popolo e i sacerdoti che venerava la abbiano potuta odiare al punto da desiderare la sua morte. Ma frate Domenico deve aprirle gli occhi e le spiega che chi la condannò non era uomo ma bestia, e come tale sordo a quelle voci celesti che parlavano invece alla pastorella. La scena della condanna è la parodia farsesca di un processo il cui esito è stato deciso in partenza; a giudicare il candore disarmato di Giovanna è chiamato un consesso di pecore, presiedute da Porcus (ossia Cochon, contraffazione degradata di Cauchon, nome autentico del vescovo di Beauvais). Quindi un cane ulula nuovamente in lontananza e Giovanna ne rabbrividisce; frate Dominique prosegue nella sua lettura, per rispondere alla domanda della giovane, ansiosa di capire come sia potuta finire su un rogo. La scena successiva è impostata su riferimenti storico-allegorici: giungono per disputare una partita a carte quattro coppie regali (il re di Francia accompagnato dalla Stoltezza sua consorte, il re d’Inghilterra con l’Orgoglio, il duca di Borgogna con l’Avarizia, la Morte con la Lussuria); i veri giocatori saranno però i fanti, ossia la nobiltà francese; al vincitore, l’Inghilterra, viene ceduta Giovanna. La santa crede poi di riascoltare le voci di Caterina e Margherita, sue protettrici celesti; ricorda i momenti felici dell’incoronazione del re a Reims (scene settima e ottava). Qui viene a inserirsi una nuova allegoria; Heurtebise e la Madre delle botti (simboli rispettivamente della Francia settentrionale cerealicola e di quella meridionale viticola) si incontrano scambiandosi cortesie, tra il risuonare di canti popolari; un chierico impone silenzio e raccoglimento e intona un’antifona: a poco a poco le si sovrappone la marcia del corteo regale che si approssima. Nella scena nona frate Dominique chiede a Giovanna che significato avesse la sua spada: «Questa spada non si chiama odio, ma amore», risponde Giovanna, rasserenata e commossa da un suono di voci infantili che ripetono le semplici melodie della sua infanzia, quando a Domrémy cantava il Trimazô. Mentre ripete fra sé, come trasognata, il temino ingenuo del Trimazô, Giovanna si accorge con subitaneo soprassalto di essere ormai sul rogo (scena decima); mentre il popolo la circonda, diviso fra la compassione e l’ostilità, la condannata si sente chiamare dalla Vergine; la disperata e atterrita frenesia di ribellione che la agita per qualche istante viene vinta a poco a poco dalla suasiva dolcezza del conforto disceso dal cielo. Ora comprende che non vi è prova d’amore più grande del sacrificio di sé medesimi; e forte di questa fiamma interiore che la trasfigura, Giovanna ascende a sua volta verso il cielo e sconfigge la fiamma materiale che la consuma.