Synopsis: La Gioconda

from Amilcare Ponchielli


ATTO PRIMO
Mentre il popolo, in festa, celebra la generosità della Repubblica (“Feste e pane!”), Barnaba, un cantastorie – in realtà spia al servizio del Consiglio dei Dieci – medita sull’ambiguità di Venezia, che tra feste e forche tiene ben saldo il suo potere. Sopraggiunge Gioconda con la madre cieca (“Figlia che reggi il tremulo piè”); mentre si attende la celebrazione del Vespro, Gioconda lascia la madre per raggiungere l’amato Enzo, ma Barnaba le rivolge alcune profferte: la fanciulla lo respinge con disprezzo e fugge. Torna il popolo, portando in trionfo il vincitore della regata (“Gloria a chi vince!”). Barnaba fa credere a Zuàne, un regatante, di aver perso la gara per via del maleficio della cieca che, ignara di tutto, resta in disparte a pregare; inorriditi, i presenti affrontano la donna, decisi a linciarla. Sopraggiunge Gioconda con Enzo; questi, compreso il pericolo, tenta di difendere la cieca (“Assassini! quel crin venerando”) ma, constatata l’impossibilità di aver ragione della folla, si allontana per chiedere aiuto. Giunge Alvise Badoero con la moglie Laura: le sue parole ferme e imperiose riportano immediatamente la calma; Gioconda tenta di difendere la madre (“Pietà! Pietà! ch’io parli attendete”), ma solo Laura è sinceramente convinta dell’innocenza della donna. Nel frattempo Enzo è ritornato con alcuni marinai: Laura, che ha il viso coperto da una maschera (è ancora tempo di carnevale) e non può essere riconosciuta, rimane colpita dal suo volto; poi scorge tra le mani della cieca un rosario e si pronuncia a favore della sua innocenza, ottenendone la liberazione. Enzo, al suono della voce di Laura, si fa ansioso e assorto. Intanto la cieca, manifestando la sua riconoscenza a Laura, le porge il rosario, aggiungendo che il dono le porterà fortuna (“Voce di donna o d’angelo”). Alvise apprende segretamente da Barnaba che egli è sulla buona strada per assicurare alla giustizia qualche nemico della Repubblica. Quando Gioconda esprime il desiderio di conoscere il nome di colei che ha interceduto per la vita della madre, Laura lo rivela, suscitando nuova e più viva agitazione in Enzo; poi, mentre tutti si recano alla vicina chiesa, egli rimane assorto e solo. Barnaba lo affronta, e gli rivela di conoscere la sua vera identità (“Enzo Grimaldo, principe di Santafior”): egli non è un marinaio dalmata, ma un principe genovese proscritto da Venezia, tornato sotto mentite spoglie nella Repubblica, dove un tempo si era innamorato di una giovane donna che però era promessa a un altro. Inutilmente Enzo cerca di confutare le affermazioni di Barnaba, che sembra leggergli nel pensiero: egli non ama Gioconda, e la donna di cui un giorno fu innamorato è la stessa che poc’anzi ha interceduto per la vita della cieca; questa, che è sempre innamorata di lui, lo ha riconosciuto. Se Enzo vorrà incontrarla la notte stessa, sulla nave, egli l’aiuterà: Alvise sarà assente e non sospetterà nulla. Enzo esulta (“O grido di quest’anima”), ma al tempo stesso è sorpreso: chi è dunque il misterioso individuo? La risposta di Barnaba è agghiacciante: egli è il «possente demone del Consiglio dei Dieci»; potrebbe farlo arrestare e condannare, ma è innamorato di Gioconda, e poiché questa lo odia, vuole vendicarsi. Ucciderle l’amato gli sembra una vendetta da poco; preferisce spingerlo al tradimento. Enzo è sconvolto da questa rivelazione, ma accetta ugualmente l’offerta; poi maledice il sogghignante Barnaba e si allontana. Subito la spia denuncia il tradimento di Enzo e Laura e la loro fuga ad Alvise; poi, contemplando il palazzo dei Dogi, medita cupamente (“O monumento”). Intanto Gioconda, che ha udito tutto ed è fuggita disperata in chiesa, esce all’aperto tra i fedeli, sorretta dalla madre che la conforta, e dà sfogo al suo dolore (“Tradita! ahimè!”).

ATTO SECONDO
A bordo della nave di Enzo, i marinai cantano un’allegra canzone. Giunge Barnaba travestito da pescatore, che ha così modo, senza dare nell’occhio, di valutare le forze di cui dispone il brigantino (“Pescator, affonda l’esca”). Allontanatosi Barnaba, Enzo dà ai marinai le istruzioni per la partenza, poi li manda sotto coperta a riposare (“Cielo e mar”). Giunge Laura, accompagnata dal solito Barnaba, che lascia soli i due amanti, dopo aver augurato loro con sinistra ironia buona fortuna. I due rievocano le loro disavventure e si abbandonano l’uno nelle braccia dell’altro (“Laggiù fra le nebbie remote”); poi, mentre Enzo ridiscende in coperta per preparare la fuga, Laura invoca l’aiuto della Vergine (“Stella del marinar”). Sopraggiunge Gioconda, mascherata, e affronta drammaticamente la rivale (“L’amo come il fulgor del creato”); in un primo momento vorrebbe colpirla con un pugnale ma poi, scorgendo Alvise che sta arrivando, pensa di vendicarsi ancora più crudelmente, consegnandola al marito che ha tradito. Quando Laura, in un ultimo e disperato tentativo, alza il rosario che le ha donato la cieca, Gioconda lo riconosce, e comprende che la donna che le ha salvato la madre è ora davanti a lei, in disperato bisogno di aiuto. Prima che Alvise salga sul brigantino, Gioconda copre il volto della rivale con la maschera e la affida a due marinai che si allontanano su una barca. Enzo, tornato sul ponte della nave, affronta l’ira e il sarcasmo di Gioconda; prima che Enzo possa riaversi dalla sorpresa, la nave è attaccata da alcune galere veneziane e colata a picco.

ATTO TERZO
Alvise, al colmo dell’agitazione, riflette sugli avvenimenti della notte precedente, e decide di punire la moglie adultera con la morte (“Sì, morir ella de’”). Giunge Laura; inizia un ironico e galante scambio di battute tra i due (“Bella così, madonna”), bruscamente interrotto da Alvise, il quale la atterra violentemente e le porge una fiala di veleno, intimandole il suicidio e allontanandosi. Giunge Gioconda, che sostituisce la fiala mortale con un potente sonnifero, ed esorta Laura a berlo; poi, con l’animo straziato, si allontana. Nella sfarzosa Ca’ d’Oro giungono gli invitati, che Alvise accoglie con frasi di circostanza; al culmine della festa (‘Danza delle ore’) sopraggiunge Barnaba con la cieca, sorpresa nelle stanze del palazzo: si diffonde ovunque un lugubre presentimento, che invano Alvise tenta di mitigare. Enzo, che teme per la vita di Laura, affronta Alvise, svelandogli la sua vera identità; mentre Alvise ordina il suo arresto, Gioconda si rivolge – non vista – a Barnaba, e promette di concederglisi in cambio della vita dell’amato. Tra l’orrore generale, Alvise rivela di avere ‘giustiziato’ la moglie e ne mostra il cadavere.

ATTO QUARTO
Nell’atrio di un palazzo diroccato alla Giudecca, Gioconda congeda alcuni suoi fidi – che hanno occultato il corpo di Laura – e li prega di cercare la madre, scomparsa misteriosamente dalla notte precedente. Rimasta sola, la donna si abbandona alla più completa disperazione (“Suicidio!”): pensa dapprima di bere il veleno destinato a Laura, ma poi si rammenta della necessità di aiutarla nella fuga; tormentata da propositi di vendetta, invoca infine l’amato. Giunge Enzo, disperato: è convinto che Laura sia morta, e non desidera altro che seguirla. Inutilmente Gioconda tenta di rinnovare in lui l’antico amore (“Ridarti il sol, la vita”); alla fine, straziata e offesa, rivela a Enzo di aver fatto trafugare il cadavere della donna. Sorpreso e inorridito, Enzo le chiede spiegazioni ma Gioconda, che ormai desidera solo morire, improvvvisamente tace; esasperato, Enzo fa per avventarsi su di lei per colpirla, ma è interrotto da Laura che, risvegliatasi, lo arresta e in breve gli spiega ogni cosa. Sempre più stupefatto, Enzo si getta con l’amante ai piedi di Gioconda (“Sulle tue mani l’anima”); poi questa impartisce le necessarie istruzioni per la fuga, li benedice e, rassicurandoli sul suo conto, li congeda. Rimasta sola, Gioconda vorrebbe uccidersi, ma presto si ricorda della madre e subito dopo del patto con Barnaba: piena di spavento, vorrebbe darsi alla fuga, ma la spia è già arrivata, esigendo la sua squallida ricompensa. Gioconda finge di acconsentire (“Vo’ farmi più gaia”) ma, mentre Barnaba già canta vittoria, si trafigge il cuore con un pugnale; alla spia, rabbiosa e beffata, non resta che gridare sul cadavere della donna di averle ucciso la madre.