Synopsis: Maria Stuarda

von Gaetano Donizetti


ATTO PRIMO
L’opera esordisce con una frase marziale e minacciosa a piena orchestra, ripetuta più volte nel preludio, che sfocia, sul tremolo attutito degli archi, in un lancinante assolo di clarinetto, un vero e proprio recitativo strumentale. L’intimità di tale improvviso ‘primo piano’ soggettivo contrasta con la frase roboante: pubblico e privato, ragion di stato e affetti segreti, politica e dolore personale saranno le dimensioni sulle quali si baserà la struttura drammaturgica dell’opera. Sfarzoso e brillante è il coro d’apertura. Nel palazzo di Westminster dame e cavalieri attendono la regina, che fa il suo ingresso dichiarandosi ancora perplessa circa la proposta di matrimonio appena ricevuta da parte del re di Francia: essa è in realtà segretamente innamorata di Leicester. Lord Talbot le ricorda la sorte di Maria Stuarda, tenuta prigioniera nel castello di Fortheringay, ma Lord Cecil le consiglia di essere impietosa. Leicester rimane solo con Talbot, che racconta di essersi recato da Maria, la quale gli ha consegnato una lettera e un ritratto per Leicester. Questi è visibilmente commosso e si promette di aiutare Maria: intona un appassionato cantabile (“Ah rimiro il bel sembiante”), all’interno di una scena che è difficile classificare. Può sembrare un’aria con ‘pertichino’, ovvero con nutriti interventi di una seconda voce (nel tempo d’attacco e nella cabaletta), oppure un duetto che lasci ampio spazio solamente a un personaggio. Sono molti i numeri della partitura che presentano una simile ambiguità: anche nei duetti in cui sono coinvolte le protagoniste, esse spiccano sempre adombrando la loro ‘spalla’. Nell’unico numero a carattere solistico che spetta a Leicester, la sua importanza viene comunque ridimensionata dagli interventi di Talbot. È come se una strategia precisa guidasse le scelte del compositore fin dalle prime scene dell’opera: l’indirizzo è quello di prolungare l’attesa per l’entrata della protagonista Maria, lasciando in luce prima di lei un unico personaggio importante, la rivale Elisabetta, e tenendo in ombra gli altri. Pur non essendo ancora presente, la figura di Maria influenza i rapporti fra i personaggi nel duetto fra Leicester ed Elisabetta, che chiude la prima parte dell’opera. Leicester cerca infatti di intercedere a favore della Stuarda, ma riesce solamente ad accendere la gelosia della regina, che accetta di incontrare di persona la nemica. Nella cabaletta del duetto è ora la parte di Leicester che sembra ridotta a ‘pertichino’: in realtà la cabaletta appartiene di diritto a Elisabetta. Sul piano drammatico, è sempre più chiaro il tentativo di emarginare i personaggi secondari per far risaltare Elisabetta, e in seguito Maria. Anzi, la luce che ora illumina in pieno la regina si giustifica unicamente in funzione del futuro scontro con Maria: una volta avvenuto il confronto, la figura di Elisabetta perderà improvvisamente di interesse drammatico e musicale.

ATTO SECONDO
Per creare un maggiore contrasto fra il carattere fiero e sprezzante di Elisabetta e la figura idilliaca di Maria, un breve e arioso preludio introduce l’atto, ambientato nel parco di Forheringay. Maria «esce correndo dal bosco» per respirare un po’ di libertà, controllata a vista dalle guardie. Dall’ambiente chiuso e pieno di sospetto, nel quale si era svolto l’atto precedente, siamo passati all’aria aperta: la tinta orchestrale si schiarisce, tutto sembra perdere peso. In uno sfogo di nostalgia, Maria canta il suo sentimento di gioia per la natura e pensa con struggimento alla sua giovinezza e alla patria lontana, la Francia (“Oh nube che lieve per l’aria t’aggiri”). Stilemi musicali (arpeggi dell’arpa) e calibratissima costruzione metrica della melodia raggiungono l’effetto desiderato: dipingere la leggerezza. Bruscamente si ritorna alla realtà: un coro e una fanfara di caccia, fuori scena, annunciano l’arrivo di Elisabetta. La reazione di Maria, che crea lo spunto per la cabaletta “Nella pace del mesto riposo”, in tempo Moderato e fiero, illumina un altro aspetto della sua personalità, meno docile e rassegnato di quanto la cavatina precedente aveva lasciato immaginare. Un duetto fra Maria e Leicester (“Da tutti abbandonata”) ritarda il momento drammatico centrale di tutta l’opera: l’incontro fra le protagoniste. L’azione vera e propria (Elisabetta tratta con disprezzo e insulta Maria, la quale reagisce duramente) avviene nel tempo di mezzo del lungo finale d’atto, dopo un conciso sestetto e prima della stretta conclusiva. Indicato in partitura come numero autonomo, caso eccezionale per Donizetti, l’esteso tempo di mezzo culmina nel teso declamato di Maria, che contiene le parole più pesanti che un libretto d’opera ottocentesco potesse prevedere: «Figlia impura di Bolena/ parli tu di disonore?/ Meretrice indegna oscena,/ su te cada il mio rossore./ Profanato è il soglio Inglese/ vil bastarda dal tuo piè».

ATTO TERZO
Nel primo quadro un duettino in cui Cecil esorta Elisabetta, ancora indecisa, a condannare Stuarda alla pena capitale, sfocia in un terzetto con l’arrivo di Leicester. Appena lo vede, la regina firma la condanna e invano Leicester implora pietà. Nella prigione, Maria riceve l’annuncio della sentenza. Vaneggia al ricordo delle colpe commesse e riceve i conforti religiosi da Talbot, che è sacerdote. La scena finale si apre con un preludio e un coro: Maria, vestita di nero, intona insieme ai presenti una preghiera (“Deh, tu di un’umile”), la cui melodia, tratta dal Paria , ritornerà ulteriormente modificata nel Roberto Devereux , nella Linda di Chamounix e nel Duca d’Alba . In questo brano, alle proposte melodiche di Maria rispondono le voci del coro, in alternanza di piano e fortissimo ; nella sezione conclusiva, il canto della protagonista, mentre gli altri ripetono la melodia a note ribattute, indugia a lungo sul sol acuto tenuto, per poi raggiungere cromaticamente il si bemolle e unirsi al coro. La doppia aria finale vera e propria («Aria del supplizio», la intitolò Donizetti), inizia quando Cecil informa Maria che la regina le concede di veder esauditi gli ultimi desideri, ed ella risponde con il perdono per tutti i suoi nemici (“D’un cor che more reca il perdono”). Giunto Leicester, disperato e in preda a impeti di ribellione, Maria riesce a frenarlo e si accomiata dal mondo chiedendogli di accompagnarla al patibolo (“Ah, se un giorno da queste ritorte”).