ATTO PRIMO
Una cittadina sulle rive del Volga, attorno al 1860. Quadro primo . Nel parco sulla riva del fiume di fronte alla casa Kabanov, durante la passeggiata pomeridiana si incontrano Kudrjáš, che conversa con Gláša, e che si imbatte in Dikoj, che sta invece litigando con il nipote Boris. Quando lo zio si allontana, Boris ha modo di lamentarsi del proprio destino, segregato lontano da Mosca e in balìa di uno zio autoritario. Frattanto tornano dalla chiesa Kabanicha, Tichon, Varvara e Kát’a. La madre di Tichon manifesta la sua ostilità nei confronti della nuora, rimproverando al figlio di non amarla più dopo il matrimonio. Nonostante le assicurazioni di Kát’a e la difesa di Varvara, il battibecco tra madre e figlio continua. Le situazioni di Boris e di Kát’a, anime delicate costrette in un ambiente opprimente e meschino, e la debolezza di Tichon, rivelano evidenti parallelismi. Quadro secondo . L’animo sensibile ed eccitabile di Kát’a si schiude in un lungo monologo, in cui canta la nostalgia per l’infanzia e racconta i propri sogni. Da questo sfogo interiore e lirico, che a poco a poco si fa quasi allucinato, erompe l’ammissione di amare un altro uomo. Varvara, con il suo carattere positivo e spensierato, cerca di mitigare la dolorosa coscienza del peccato che opprime Kát’a. Sopraggiunge Tichon; la moglie lo implora di portarla con sé nel viaggio che deve intraprendere per ordine della madre, e lo minaccia rivelandogli i suoi oscuri presentimenti. Di fronte alla sua intransigenza, Kát’a, sentendo la propria disperazione e debolezza, supplica Tichon di imporle il giuramento di non pensare ad altri che a lui durante la sua assenza e di non parlare con nessuno. Nella scena di congedo che segue, Kát’a è sottoposta dalla suocera a un umiliante rituale di sottomissione agli antichi costumi, che prescrivono il comportamento che una donna deve tenere in assenza del marito.
ATTO SECONDO
Quadro primo . Le rimostranze di Kabanicha nei confronti di Kát’a continuano; la nuora si difende opponendosi all’ipocrisia che le viene imposta. Nel frattempo Varvara sottrae la chiave del cancello d’ingresso a Kabanicha e la offre a Kát’a, perché possa incontrarsi con il suo amante. La donna esita, si rifugia nella preghiera, ma al ritorno della suocera nasconde la chiave. Pur oppressa dalla coscienza del peccato e dal presentimento di un destino infausto, si abbandona al desiderio d’amore. Dikoj, ubriaco, si presenta a Kabanicha, e dopo averle confessato le proprie debolezze cade in ginocchio ai suoi piedi; la vedova lo accoglie per la notte. Quadro secondo . Nella notte estiva si incontrano due coppie: Varvara e Kudrjaš, Boris e Kát’a. I primi due scompaiono verso il fiume e Kát’a, non senza tormento, si getta nelle braccia di Boris, abbandonata al suo slancio amoroso. Kudrjaš dà il segnale del ritorno: mentre Varvara entra in casa, si vede giungere Kát’a ormai vittima del suo destino.
ATTO TERZO
Quadro primo . Due settimane dopo. È un pomeriggio piovoso e i passanti cercano di mettersi al riparo sotto le arcate di un edificio in rovina. Il positivista Kudrjaš sostiene che i lampi sono un fenomeno elettrico, il bigotto Dikoj ribatte che si tratta di segni della collera divina. Il temporale che si sta scatenando suscita terrore in Kát’a, il cui animo si trova in un’assonanza misteriosa con la natura e non bastano le parole di conforto della calma ed equilibrata Varvara. Alla vista di Tichon e Kabanicha, scoppia la tempesta interiore: Katerina confessa la sua colpa e fugge sotto la pioggia battente. Quadro secondo . Mentre Varvara e Kudrjaš approfittano della situazione per progettare la fuga verso Mosca, inizia il monologo disperato di Kát’a. Per lei non c’è riscatto se non nella morte. La sua colpa si trasfigura in un atto di accusa verso un mondo a cui non appartiene e che l’ha spinta nelle braccia di un uomo che condivide la sua sofferenza, ma non ha né la forza né la volontà ribelle dell’amata. Katerina incontra per l’ultima volta Boris, che ha già accettato il suo destino, che lo conduce alla partenza per la Siberia con lo zio. Nel suo struggente congedo da Boris, Kát’a sente il rombo del Volga che scorre, intonato da un coro fuori scena, misterioso simbolo della natura che richiama a sé la sua creatura, e si getta nel fiume. Di fronte al corpo esanime della moglie, Tichon accusa gli astanti di essere i veri colpevoli della sua morte. L’opera si conclude con i gelidi ringraziamenti di Kabanicha a tutti coloro che hanno aiutato a recuperare la salma.